martedì 31 maggio 2016

Prefazione

Un illuso, poi disilluso, che rimane comunque un sognatore o forse sarebbe meglio dire uno sperante.
Eh sì perché la speranza, quell'ultima esile fiamma insita dentro di noi che continua ad ardere nell'intimità più recondita seppur con negabile abnegazione, non affievolisce, resiste e persiste (e talvolta illude).
L'utopia di un miracolo, un essere illuminante o un'apocalisse mistica che possano sferzare la società con tal veemenza da redimerla dallo stato di peccatrice qual'è stata relegata dalla sua stessa coscienza e vi sia l'incipit di una nuova era per il travagliato animo umano.
Poi dopo anni di osservazione, introspezione, autoanalisi, in cui non desideri attendere invano e morire sperando, realizzi nel tuo io che il cambiamento necessario deve cominciare innegabilmente dal singolo individuo che è elemento imprescindibile dell'insieme.
Evinci che nulla è impossibile, al costo del sacrificio e dell'esasperata dedizione che faranno giustizia allo scopo, alla realizzazione del grande schema.
Il vano sogno che quindi permane è di poter essere contagiosi e contagiati, per potere lasciare in seno ai posteri l'idea, prima che l'oblio inghiotta anche quella scintilla che per ora sopravvive nel seme delle nostre menti erranti.